
Cantina Petra. La copertura inclinata del cilindro sezionato è punteggiata da giardini pensili ed è solcata assialmente da una scenografica scalinata.
ottobre 2025
Cantina Petra
La Cattedrale del Vino di Mario Botta tra le vigne della Maremma
La cantina Petra esalta l’eccellenza enologica toscana attraverso un linguaggio architettonico a-temporale che dialoga con il paesaggio. In Toscana, la chiave del Genius Loci risiede nella ricerca del bello che, a partire dal Rinascimento e forse qui più che altrove, si fonda su un saper fare nutrito di ingegno ideativo e su un intreccio tra antico e moderno i cui segni antropici non smettono di rinnovare, nel corso del tempo, l’identità della regione. Non è un caso che, a inserire un nuovo tassello nel mosaico complesso della storia di questa terra, sia stato anche l’architetto ticinese Mario Botta, chiamato dalla Famiglia Moretti a progettare la propria cantina vinicola a Suvereto, nel cuore della Maremma. “Petra – racconta Vittorio Moretti, suo fondatore insieme alla figlia Francesca e Presidente di Terra Moretti – è la storia di un’ambizione realizzata. In questa cantina si è concretizzato il desiderio di costruire una struttura in grado di evidenziare la bellezza del luogo in cui sorge e il fascino del lavoro che in essa si svolge. Serviva un architetto in grado di integrare le proprie scelte estetiche con la nostra filosofia di produzione e con il carattere del territorio. Conoscevo già Mario Botta e di lui ho sempre apprezzato le scelte innovative e coraggiose, ma anche la linearità, il rigore filologico e il rispetto per i luoghi in cui ha costruito”. Oggi quell’architettura diventa il teatro di un racconto corale, dove il lavoro di Mario Botta incontra l’universalità d’uso degli arredi Edra che abitano la cattedrale del vino, facendo risuonare quei valori di cui l’opera si fa portatrice. Mario Botta è un progettista che, più di altri, parla un linguaggio senza tempo. Spinge la ricerca formale alla conquista di simbologie e di valori universali che trascendono le stagioni effimere delle mode e che trovano in una poetica coerente e rigorosa la loro formula espressiva. Geometrie pure e archetipi di un lessico progettuale depurato dal superfluoplasmano un’architettura contemporanea evocativa di suggestioni e memorie, dove la pratica di vita quotidiana assurge alla dignità di atto sacrale e dove la luce è materiale modellante della composizione, al pari del cemento, della pietra e del mattone. Una “architecture parlante” che, sul solco tracciato da Étienne-Louis Boullée fino a Louis Kahn, è strumento eloquente per dichiarare la propria funzione civica attraverso una forma aulica che aspira alla permanenza. Come ha affermato Botta: “Costruire è di per sé un atto sacro, è un’azione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura; la storia dell’architettura è la storia di queste trasformazioni. Il bisogno che spinge l’uomo a confrontarsi con la dimensione dell’infinito è una necessità primordiale nella ricerca della bellezza che sempre ha accompagnato l’uomo nella costruzione del proprio spazio di vita”. La cantina Petra è un manifesto di questo approccio compositivo che combina storia e contemporaneità, cultura e natura, estetica e funzione, inserendosi senza conflittualità nella linea del tempo come gesto definivo di connessione tra traccia antropica e paesaggio. Edra condivide la stessa aspirazione: realizzare oggetti che non appartengano a una determinata epoca ma – per sempre – al luogo in cui vengono accolti, esattamente come avviene per la grande architettura. Il complesso si staglia nitidamente e senza alcun intento mimetico nel contesto collinare punteggiato da viti e uliveti, rivelando laconicamente la sua funzione: un luogo che parla al presente in termini di identità visiva e tecnologie (costruttive e produttive), ma preservando la sapienza enologica antica e la fisionomia del territorio da cui questa sprigiona.
“Mi ha colpito questo angolo di Maremma, ricco di storia e di intatta bellezza paesaggistica, ma al contempo non ancora così noto dal punto di vista vitivinicolo come altri territori toscani” prosegue Vittorio Moretti. L’opera si adagia nell’orografia del terreno, all’interno di una proprietà di circa 300 ettari, che comprende la cintura verde delle Colline Metallifere, il Parco di Montioni, la Riserva Poggio Tre Cancelli e il Parco della Sterpaia, affacciato sul Mar Tirreno. Rivestita in pietra rossa di Prun, la massiva costruzione scavata nella collina è composta al centro da un totem cilindrico alto 25 metri, sezionato da un piano inclinato parallelo al declivio collinare, e da due edifici laterali porticati che ripropongono la tipologia delle dimore rurali locali. Al piano terra, si collocano la barricaia, le aree di invecchiamento, vinificazione, imbottigliamento e imballaggio, oltre a una galleria che, come un cordone ombelicale, conduce a una sala di degustazione scavata nella collina; al piano primo, la sala di diraspatura e al secondo il laboratorio e gli uffici. In sommità, la copertura inclinata del cilindro sezionato è punteggiata da giardini pensili ed è solcata assialmente da una scenografica scalinata che, ricordando la caprese Casa Malaparte di Adalberto Libera, invita all’ascensione come esperienza catartica di comunione tra Terra e Cielo.
Moretti aveva le idee molto chiare “sulla concezione del ciclo produttivo che doveva essere moderno – spiega – funzionale, ma rispettoso della tradizione e quindi con il minimo impatto meccanico sulle uve e sul mosto. La lavorazione per gravità doveva essere uno dei punti fermi di questa cantina. Con la sua verticalità, Petra esprime l’idealità del ‘fare vino’ e al contempo soddisfa le esigenze di razionalità e naturalità in cantina”. All’interno, la sinergia tra tecniche di prefabbricazione industriale e, materiali e tipologie costruttive tradizionali informa l’atmosfera morbida e avvolgente degli ambienti, dove la struttura mista in cemento e legno lamellare dialoga con le coperture voltate, con le finiture in cotto e con i grandi tini in acciaio per il vino. Un gradiente luminoso variabile scolpisce gli ambienti accompagnando il visitatore lungo varie tappe emozionali alla scoperta della cultura del vino. A questo percorso si lega il pensiero di Moretti sul vino, maturato in decenni di esperienza: “Un vino espressivo, che suscita emozioni e rimane nella memoria”. Un principio che riecheggia anche nell’anima architettonica di Petra.
Dall’ingresso, la luce sfuma progressivamente in una sequenza di spazi dove il gioco chiaroscurale si fa sempre più drammatico, a mano a mano che si penetra all’interno della struttura: dal monumentale e radioso volume cilindrico, illuminato dai lucernari in copertura, fino al climax della sala di degustazione, germe protetto nel ventre della (madre) terra, da cui tutto ha inizio. Il percorso si conclude nella wine retail area, dove la sedia Favela, interamente assemblata con listelli di legno di recupero, richiama per gesto, materia e colore le cassette di vino accatastate: un omaggio al valore del riuso, alla sostenibilità ambientale e alla sapienza artigianale. In questo intreccio di forme archetipiche e di colori materici, architettura e design riaffermano la stessa visione: rispettare il luogo, celebrarne la storia, proiettarsi oltre il tempo. Tra i filari dei vigneti e le geometrie di Botta, Cantina Petra ed Edra mostrano la loro più autentica affinità: la capacità di dare vita a spazi e oggetti che parlano al presente ma sanno, con discrezione, appartenere al sempre.