
settembre 2025
Atlante di un mondo immaginato
La natura come linguaggio, relazione e paesaggio sensoriale
Nel 1970, Michel Foucault apriva Le parole e le cose citando un celebre brano di Borges, in cui un’ipotetica enciclopedia cinese classificava gli animali in categorie paradossali e immaginifiche: “appartenenti all’Imperatore”, “che si agitano follemente”, “che da lontano sembrano mosche”. Una tassonomia assurda, certo, ma non meno arbitraria di qualunque sistema classificatorio che, per esistere, deve sempre passare attraverso uno sguardo, una lingua, una griglia concettuale. E forse anche attraverso un desiderio: quello di trovare un ordine tra le cose, un senso tra le forme.
Nel design contemporaneo, il desiderio di riconnettersi con la natura ha generato e trasferito negli interni domestici un intero universo di bestiari, erbari e lapidari: ibrido, imprevedibile, metamorfico. In questa pulsione a riportare nello spazio dell’abitare la naturalità perduta, il lavoro di Edra si staglia come un atlante sensuale e visionario in cui ogni oggetto appare come l’eco tangibile di una natura altra, remota, potente, talvolta mitologica. Natura non come idillio o modello da imitare, ma come forza da evocare e ritrovare.
Già nel 2007, in uno studio sul design italiano e l’animalità dei Fratelli Campana, si notava come molti dei loro oggetti zoomorfi siano allusivi non solo nelle forme, ma anche nel nome: Boa, Kaiman, Corallo, Aster Papposus. Non si tratta di vezzi nominalistici, ma di tentativi di fondare una relazione semantica e affettiva tra forma e significato, di risemantizzare lo spazio domestico come ambiente che riaccoglie ciò che la modernità aveva espulso: l’animale, l’organico, il naturale.
Nella storia dell’arredamento, la casa moderna è stata a lungo pensata come rifugio dal mondo selvaggio, come fortino razionale contro le minacce dell’esterno. Gli imbottiti di Edra – e in particolare quelli dei Fratelli Campana – ribaltano questa logica. Non sono oggetti che disciplinano lo spazio, ma organismi che lo invadono.
Il divano Boa, una spirale infinita composta da un unico tubo tessile imbottito e avvolto su se stesso, sembra un gigantesco serpente dormiente. Kaiman Jacaré, con i suoi elementi allungati e irregolari, ricorda un rettile disteso nella quiete di una riva nascosta. Aster Papposus, ispirato a una stella marina tropicale e luminescente, sembra fuggito da un acquario abissale: tentacolare, mutante, senza struttura portante, invita il corpo a una postura liquida e immersiva.
Sono oggetti umidi, come ha scritto acutamente qualcuno. Un design denso, sensoriale, avvolgente. Che riproduce sensazioni tattili prima ancora che visive, e che, nella sua materialità soffice e ambigua, sembra dissolvere i confini tra corpo e oggetto, tra abitante e abitato.
Proprio Historia Naturalis, l’opera enciclopedica di Plinio il Vecchio, può offrire oggi una chiave suggestiva per interpretare questi paesaggi d’interni. In essa, l’universo naturale non è ordinato con rigore scientifico, ma esplorato come una raccolta di meraviglie e di prodigi: animali che parlano, pesci che volano, piante che sanguinano. La natura, in Plinio, è un teatro dell’inverosimile. E così anche nel design di Edra: gli oggetti sembrano provenire da una zoologia fantastica, da una foresta inconscia, da un mare preistorico. L’abitare diventa allora una nuova forma di naturalismo: non un ritorno alla natura, ma un esercizio di immaginazione.
Questi oggetti non arredano, ma popolano. Non delimitano lo spazio, lo ampliano. Diventano presenze. Anche le materie e i colori contribuiscono a questa “naturalità sensibile”: le superfici sono vellutate, porose, lucenti, evocano squame, cortecce, pelli animali. Corallo traspone in filamenti metallici intrecciati la complessità calcarea e anarchica di un organismo marino. Immortalato tra le rocce di granito della costa tirrenica, Corallo non si distingue dalla natura che lo circonda, ma si confonde con essa. Non la imita, ma vi si immerge.
Nella ricerca e sperimentazione di Edra negli anni Novanta, ci sono stati altri casi illustri, come Island. Disegnato da Alessandro Mendini si presentava come un arcipelago imbottito, una piattaforma organica e astratta, aperta all’immaginazione. E ancora, Fortuna, di Leonardo Volpi, una seduta vegetale, simmetrica, verde, fra quadrifoglio e icona pop.
La natura, per Edra, non è un repertorio formale. È un mondo da abitare. Non si tratta di “prendere ispirazione”, ma di ricreare quella condizione di sorpresa e adattabilità che appartiene al vivente. Come nei boschi favolosi o nei mari abissali, ciò che conta non è la classificazione, ma l’immersione. I progetti Edra non propongono solo una natura da contemplare, ma una natura da attraversare: tattile, coinvolgente, totale.
E il fotografo Massimo Vitali, con il suo occhio sospeso tra antropologia e teatro, ha saputo cogliere questa presenza animista con grande lucidità. I suoi scatti che ritraggono Pack di Francesco Binfaré sugli scogli dell’Accademia Navale di Livorno raccontano una scena quasi post-umana. Gli oggetti non sono più mobili da interni, ma paesaggi.
Si integrano con le rocce, con il cielo, con il mare. Non sembrano mobili trasportati all’esterno, ma creature tornate al loro habitat originario.
Così Pack rappresenta l’idea di libertà, di liberazione totale. Ma anche di confidenza, di affettività profonda, di tenerezza animalesca. L’orso è simbolo duplice: è la minaccia, la rottura, il rischio della deriva; ma anche la gioia, la protezione, la dolcezza. La superficie si sta rompendo, come il mondo che abitiamo. Ma su quella banchisa si può ancora riposare, sognare, amare.
E poi c’è On the Rocks, che rievoca le forme scomposte di una scogliera o di un accampamento primitivo. Non c’è modularità rigida, ma un invito all’invenzione: ci si siede dove si vuole, si cambia posizione, si scompone, si ricompone. Anche qui, il corpo viene prima della funzione. E la funzione non è mai univoca. Il divano non delimita lo spazio, ma lo espande: è superficie d’approdo, zattera, rifugio.
Ed è interessante osservare come, accanto a una natura metamorfica e cangiante, in Edra ce ne sia un’altra poetica, simbolica, pacificata.
Emblematica in tal senso è la Flowers Collection di Masanori Umeda, progettata nel 1990: poltrone a forma di fiore che restituiscono lo stupore dell’infanzia, l’eleganza del rito, il potere generativo della bellezza floreale. Getsuen, giglio lunare nato da un ricordo personale, e Rose Chair, rosa sensuale e accogliente, non si limitano a riprodurre la natura, ma ne reinterpretano la delicatezza attraverso la tecnologia e l’artigianato. Sono pezzi che portano il sogno nello spazio dell’abitare. “Mi considero un vecchietto magico che fa nascere i fiori”, dice Umeda. E i suoi fiori, ancora oggi continuano a fiorire.
La stessa volontà di celebrare una natura armoniosa e cangiante si ritrova nella Collezione A’mare di Jacopo Foggini, pensata per l’esterno, ma perfetta anche per ambienti interni. Sono poltrone, tavoli e sedie realizzati a mano in policarbonato puro, con la trasparenza e la leggerezza dell’acqua. Non si tratta solo di estetica: A’mare è un atto di amore verso l’ambiente, una dichiarazione di fluidità, un invito alla contemplazione. Immersi in un paesaggio, questi arredi si smaterializzano, diventano liquidi, dialogano con la luce, con l’aria, con il tempo.
E poi c’è Materie, il progetto che ha elevato il concetto stesso di rivestimento a componente progettuale. In Edra, la materia non copre: vive. Le collezioni Minerals, Gems ed Every Stone sono un omaggio esplicito alla natura nella sua forma più preziosa e durevole. Minerals è ispirata ai minerali: Oro, Calcite, Ematite … che, con la loro luce e i loro colori vibranti, hanno la capacità di riflettere e brillare. Gems si ispira a pietre rare e cangianti: Malachite, Calcedonio, Zaffiro, Corniola... Ogni tessuto è multisensoriale, tridimensionale, animato da fili brillanti e da profondità cromatiche. Every Stone trasforma il marmo in tessuto. Nove varianti che rievocano pietre naturali – dal Bianco Statuario al Nero Marquinia – adatte agli esterni ma poetiche anche all’interno. Sono superfici universali, capaci di suggerire memoria, forza, durata.
Nel loro insieme, queste presenze zoomorfe, fitomorfe e lapidarie costituiscono un’arca domestica, una collezione sentimentale di esseri e forme che abitano lo spazio come se venissero da un altro mondo. Non rappresentano semplicemente la natura, ma ne sono manifestazioni possibili, soglie verso altri modi di abitare.
La natura, per Edra, non è un repertorio. È una lingua. Non parla di funzione, ma di relazione. E ogni oggetto, come nell’enciclopedia di Borges o nell’inventario di Plinio, può diventare il segno di una classificazione immaginaria, di un mondo non ancora esistito, ma già desiderato.
Nel design contemporaneo, la natura torna oggi al centro del discorso non solo come stilema, ma come urgenza. L’ecologia diventa una nuova estetica. Le forme organiche, le superfici imperfette, la logica del mutamento entrano nel linguaggio del progetto come risposta alla rigidità della tecnica, alla freddezza dell’automazione. Si cerca una natura non idealizzata, ma possibile.
Non una nostalgia dell’Eden, ma un laboratorio aperto.
In questo senso, Edra non propone una natura da rappresentare, ma una natura da costruire.
Da attraversare. Da abitare.